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giovedì 29 dicembre 2011

"Fanno finta di cambiare tutto per non cambiare niente" . Ivan70

Mario Monti continua a dire che questa manovra salva Italia è stata equa. E adesso comincerà la fase due, la cresci Italia, ma non aspettiamoci miracoli.
Allora chiariamo alcuni punti: 1: Mario Monti è convinto che gli italiani siano un popolo di imbecilli, ed in parte fa bene a pensarlo, visto che per 17 anni una maggioranza di scemi e paraculi a vario titolo hanno votato Berlusconi, ma c’è anche una minoranza pensante che non si è fatta in passato e non si farà nel presente e nel futuro prendere in giro da nessuno. 2. Di equo questa manovra non ha avuto niente! L’hanno pagata i pensionati, i dipendenti, gli statali e i poveracci. Elenchiamo queste equità: In pensione a 70 anni con 40 anni di contributi, ovvero in pensione “ad mortem factum” perché con la precarietà del lavoro attuale nessuno delle nuove generazioni avrà tutti quei contributi versati, quindi di fatto la pensione di anzianità è stata abrogata, ci si andrà per vecchiaia a 70 anni con il sistema contributivo, ovvero la media degli stipendi di una vita, con una pensione da fame, da mensa della Caritas. Aumento dell’IVA al 23% che colpirà pesantemente le classi sociali medio basse che faranno ancora più fatica a provvedere il necessario per se stessi e le loro famiglie. Aumenti sulle bollette di oltre il 20% nel 2012 e una fascia di popolazione taglia sul riscaldamento e l’acqua calda. Aumenti sulle accise della benzina più care al mondo, ormai a 1,72 euro al lt. e biglietti dei mezzi pubblici che aumenteranno fino al 50% nel prossimo anno. Intanto si prevedono almeno due anni di recessione durissima in cui perderemo altri milioni di posti di lavoro, altra disoccupazione e perdita del reddito per milioni di famiglie. 3. Si dissanguano le classi medio basse con tasse da strozzini e poi si dichiara che quei soldi, che servivano per rilanciare la crescita del paese, non saranno usati per questo, ma versati ai mercati finanziari, e quindi la crescita si, ci sarà, ma non aspettatevi miracoli. Allora noi paghiamo una manovra da corte dei miracoli e avremo una crescita da lumaca, e no, non va bene, non va bene per niente, perché a rimetterci anche in questo caso saranno le classi sociali più deboli che vedranno calare sempre di più il potere di acquisto del loro reddito e aumentare le loro spese. E dall’altra parte? La classe ricca del paese? Niente, non paga niente! Nessuna patrimoniale, nessun contributo sui capitali scudati, nessun contributo sui redditi sopra i 70 mila euro, nessuna liberalizzazione delle corporazioni e delle caste di cui è pieno questo paese, nessun accordo con la svizzera per tassare i capitali evasi all’estero, niente di niente, continueranno ad evadere come e peggio di prima, a fare i loro comodi tranquilli senza che nessuno li disturbi! E per finire si regalano le frequenze televisive pubbliche, che frutterebbero all’asta circa 15 miliardi di euro alle casse dello Stato, a Berlusconi, se no si arrabbia… e fa cascare Monti, e la Chiesa Cattolica continuerà a mantenere tutti i suoi privilegi che naturalmente pagheranno i contribuenti italiani. 4. Queste pagliacciate sono buone per incantar gli sciocchi, certamente tanti in Italia, ma chi ancora ha il brutto vizio di usare il cervello per pensare capisce chiaramente che la presa per i fondelli è evidente, ci fottono come è più di prima, con una sola differenza, prima ci fottevano con le pagliacciate di contorno, adesso lo fanno con il “massimo” della SOBRIETA’!

domenica 25 dicembre 2011

"Il racconto della signorina N. N." di Anton Checov


Nove anni fa, un giorno poco prima di sera, al tempo della falciatura, io e Petr Sergeic, che
esplicava le funzioni di giudice istruttore, ci recammo a cavallo alla stazione postale a ritirare le
lettere.
Il tempo era splendido, ma al ritorno udimmo il rumoreggiare del tuono e vedemmo una nuvola
nera e minacciosa che veniva dritto su di noi. La nube si avvicinava a noi, e noi a lei.
Sul suo fondo biancheggiavano la nostra casa e una chiesa, e dei pioppi alti spiccavano come
d’argento. Si sentiva l’odore della pioggia e del fieno. Il mio compagno era in vena. Rideva e diceva
ogni sorta di sciocchezze. Diceva che non sarebbe stato male se avessimo incontrato un castello
medievale con le sue torri merlate, col muschio e le civette, per poterci riparare dalla pioggia e alla
fine essere uccisi dal fulmine.
Ed ecco sulla segala e sul campo d’avena trascorse la prima onda, soffiò violentemente il vento,
e nell’aria cominciò a turbinare la polvere. Petr Sergeic scoppiò a ridere e spronò il cavallo.
“Bene!” gridava, “Benissimo!”
Io, contagiata dalla sua allegria, e dal pensiero che mi sarei bagnata fino alle ossa e forse sarei
stata uccisa da un fulmine, mi misi a ridere anch’io.
Il turbine e la rapida corsa, quando il vento ti soffoca e ti senti come un uccello, ti agitano e
solleticano nel petto.
Quando entrammo nel nostro cortile il vento era cessato e grossi scrosci di pioggia battevano
sull’erba e sui tetti. Presso la scuderia non c’era anima viva.
Petr Sergeic stesso dissellò i cavalli e li condusse alla mangiatoia. Aspettando che egli finisse,
rimasi sulla soglia guardando fisso i fili obliqui della pioggia, il dolciastro, eccitante odore del fieno
si sentiva più acuto che nei campi; a causa della pioggia e delle nubi c’era un buio crepuscolare.
“Che colpo!” disse Petr Sergeic, avvicinandosi dopo un rombo di tuono fortissimo, mentre il
cielo pareva spaccarsi in due. “Che ne dite?”
Stava vicino a me sulla soglia e respirando forte per la rapida corsa, mi guardava. Notai che mi
ammirava.
“Natalia Vladimirova,” disse, “darei tutto al mondo per restare più a lungo così a guardarvi.
Oggi siete incantevole.”
I suoi occhi mi fissavano entusiasti, supplichevoli, il viso era pallido, sulla barba e sui baffi
brillavano gocce di pioggia che parevano anch’esse guardarmi con amore.
“Io vi amo.” disse, “Vi amo e sono felice perché vi vedo. So che non potrete essere mia moglie,
ma io non voglio nulla, solo sappiate che vi amo. Tacete, non rispondete, non fate così, ma sappiate
solo che mi siete cara, e permettetemi di guardarvi.”
Il suo rapimento si comunicò anche a me. Guardavo il suo volto ispirato, ascoltavo la voce che
si confondeva col rumore della pioggia e come incantata non potevo muovermi. Avrei voluto senza
fine guardare gli occhi lucenti e ascoltare.
“Voi tacete. E va benissimo” disse Petr Sergeic. “Continuate a tacere.”
Mi sentivo felice. Cominciai a ridere per la contentezza e corsi in casa, sotto la pioggia
scrosciante; e anche lui rise e correndo mi seguì.
Facendo gran rumore, come bambini, fradici, senza fiato, battendo i piedi sulle scale,
irrompemmo nelle stanze. Mio padre e mio fratello, non avvezzi a vedermi ridente e allegra, mi
guardavano meravigliati e si misero a ridere anch’essi.
Le nubi temporalesche erano passate, il tuono taceva, e sulla barba di Petr Sergeic brillavano
ancora le stille della pioggia. Tutta la sera fino all’ora di cena cantò, fischiettò, giocò facendo un
gran chiasso col cane, rincorrendolo attraverso le stanze, e rischiò perfino di rovesciare il servo col
samovar. E a cena mangiò molto, disse molte sciocchezze, e assicurò che, se l’inverno si mangiano
dei cetrioli freschi, si sente in bocca odore di primavera.
Andando a coricarmi, accesi una candela e spalancai la finestra, e un sentimento indefinibile si
impadronì della mia anima. Mi ricordai di essere libera, sana, ricca, di avere un cognome noto, di
essere amata, ma specialmente di essere di casata illustre e ricca - di casata illustre e ricca – che
fortuna, mio Dio!... Poi, rannicchiandomi nel letto per il freddo leggero che era salito verso di me
dal giardino con la rugiada, cercai di capire se amavo Petr Sergeic o no… Non avendo concluso
niente, mi addormentai.
E quando al mattino scorsi sul letto i raggi tremuli del sole e le ombre dei tigli, nella mia mente
risuscitò vivamente la scena della sera prima. La vita mi parve ricca, variata, piena di fascino.
Canticchiando mi vestii in fretta e scappai nel giardino…
E poi cosa accadde? E poi – nulla. In inverno, mentre eravamo in città, Petr Sergeic veniva di
quando in quando a trovarci. I conoscenti della campagna sono affascinanti solo in campagna e
d’estate; in città e d’inverno perdono la metà del loro incanto. Quando in città offri loro il tè, ti pare
che portino degli abiti altrui e che non la finiscano mai di rimescolare col cucchiaino nel tè. Anche
in città Petr Sergeic parlava qualche volta d’amore, ma l’impressione non era più quella della
campagna. In città sentivamo più fortemente la muraglia che ci separava: io ero ricca e di casata
illustre e lui era povero, non era neanche nobile, figlio di un diacono e sostituto giudice istruttore e
nient’altro; tutti e due – io per la mia giovinezza, lui Dio solo sa perché – ritenevamo questa
muraglia troppo alta e grossa e lui, venendo da noi in città, sorrideva forzatamente e criticava il bel
mondo, e taceva tetro quando c’era qualcuno nel salotto. Non c’è muro che non si possa forare, ma
gli eroi dei romanzi moderni per quanto io li conosco, sono troppo timidi, indolenti, pigri e
diffidenti e troppo presto si rassegnano all’idea che non hanno fortuna, che la vita personale li ha
ingannati; invece di combattere criticano, e chiamano il mondo triviale, dimenticando che la loro
stessa critica finisce per essere una trivialità.
Ero amata, la felicità era vicina, pareva essere al mio fianco. Vivevo spensierata, senza cercare
di capirmi, senza sapere che cosa aspettassi e che cosa desiderassi dalla vita… e il tempo passava,
passava. Mi passavano accanto gli uomini col loro amore, fuggivano i chiari giorni, le tiepide notte,
cantavano gli usignoli, il fieno odorava. E tutto ciò che è caro e prodigioso nel ricordo, per me,
come per tutti, passava rapido, senza lasciar tracce, non apprezzato, e spariva come nebbia… Dov’è
ora tutto ciò?
Il babbo morì, io invecchiai; tutto ciò che mi piaceva, mi lusingava, mi dava una speranza – il
rumore della pioggia, i rombi del tuono, i pensieri di felicità, i discorsi d’amore – tutto ciò è
diventato un puro ricordo, ed io vedo davanti a me un eguale deserto; nel piano non c’è anima viva
e là sull’orizzonte è scuro e spaventoso…
Un colpo di campanello… E’ Petr Sergeic. Quando nell’inverno vedo gli alberi e ricordo come
verdeggiavano per me nell’estate, mormoro:
“Oh, miei cari!”
E quando vedo gli uomini coi quali ho vissuto la mia primavera, sento una tristezza, un tepore e
balbetto sempre lo stesso.
Già da molto tempo, per la protezione di mio padre, Petr Sergeic è stato trasferito in città. E’ un
po’ invecchiato, un po’ malandato. Da un pezzo ha smesso di parlarmi d’amore, non dice più
sciocchezze, non è contento del suo servizio, è sempre un po’ malato, deluso di qualcosa, dice addio
alla vita e vive senza voglia di vivere. Ecco, si è seduto davanti al camino e guarda il fuoco in
silenzio… Io, non sapendo che dire, ho domandato:
“Che c’è, dunque?”
“Niente,” ha risposto lui.
E di nuovo il silenzio. Il riflesso del fuoco saltellava sul suo viso triste.
Mi sono ricordata del passato e a un tratto le mie spalle hanno sussultato, la testa si è abbassata e
ho pianto amaramente. Sentivo una intollerabile pietà di me e di quell’uomo e avrei voluto
appassionatamente ciò che è passato e che ora la vita ci rifiuta. Ora non pensavo più che sono di
nobile casata e ricca.
Singhiozzai forte, premendomi le tempie, e balbettai:
“Mio Dio, mio Dio, la vita è perduta…”
Ed egli sedeva, taceva e non mi diceva “Non piangete.” Egli capiva che bisognava piangere e
che era venuto il tempo delle lacrime. Vedevo dai suoi occhi che aveva pietà di me e anch’io avevo
pietà di lui e insieme irritazione per quel timido vinto che non aveva saputo creare né la mia vita, né
la sua.
Quando l’ho accompagnato nell’anticamera, mi è parso che a bella posta abbia indossato
lentamente la pelliccia. Due volte in silenzio mi ha baciato la mano, mi ha guardata nel viso
inondato di lacrime. Penso che in quell’istante si ricordasse del temporale, delle strisce oblique,
della pioggia, delle nostre risa, del mio volto di allora. Avrebbe voluto dire qualche cosa, sarebbe
stato felice di dirmela, ma non ha detto nulla e solo ha scosso il capo e mi ha stretto forte la mano.
Che Dio sia con lui!
Dopo averlo accompagnato, sono tornata nello studio, mi sono seduta di nuovo sul tappeto
davanti al camino. La brace ardente si copriva di cenere, si spegneva a poco a poco. Il gelo ancor
più irritato ha cominciato a battere alla finestra e il vento a cantare qualche cosa nel tubo del
camino.
E’ entrata la cameriera e, credendomi addormentata, mi ha chiamata ad alta voce.

"Il Principe Felice" di Oscar Wilde.


Alta sopra la città, su una lunga, esile colonna sporgeva la statua del Principe Felice. Era tutto dorato di sottili foglie d'oro fino, i suoi occhi erano due lucenti zaffiri, e un grande rubino rosso luccicava sull'elsa della sua spada.

Tutti lo ammiravano. “E' bello come una banderuola” osservò un giorno uno degli assessori di città che ambiva farsi una reputazione d'uomo di gusto; "però è meno utile" si affrettò a soggiungere, per timore che la gente lo giudicasse privo di senso pratico, cosa che egli non era affatto.
"Perché non sai comportarti come il Principe Felice?" chiese una madre piena di buon senso al suo bambino che piangeva perché voleva la luna. "Il Principe Felice non si sogna mai di piangere per nulla".
"Sono contento che a questo mondo ci sia qualcuno veramente felice" borbottò un uomo disilluso ammirando la splendida statua.
"Assomiglia a un angelo" dissero i Trovatelli uscendo dalla cattedrale nei loro lucenti mantelli scarlatti e nei loro lindi grembiulini candidi.
"Come fate a dire questo?" osservò il professore di matematica, "se non ne avete mai veduti!"
"Oh, si, che ne abbiamo visti, nei nostri sogni!" risposero i bambini, e il professore di matematica aggrottò la fronte e fece la faccia scura, perché non trovava giusto che i bambini sognassero.

Una sera volò sulla città un Rondinotto. I suoi amici se n'erano andati in Egitto sei settimane innanzi, ma egli era rimasto indietro perché si era innamorato di una bellissima Canna. L'aveva conosciuta al principio di primavera mentre volava giù per il fiume in caccia di una grossa falena gialla, ed era stato talmente attratto dalla sua vita sottile che si era fermato a parlarle.
"Vuoi che m'innamori di te?" le aveva chiesto il Rondinotto, cui piaceva venir subito al sodo, e la Canna gli aveva fatto un profondo inchino. Così egli le volò più volte intorno, sfiorando l'acqua con le ali, e increspandola di cerchi argentei. Questa fu la sua corte, e durò tutta l'estate.
"Proprio un attaccamento ridicolo," garrivano le altre Rondini, "E' senza un soldo, ma in compenso ha un sacco di parenti," e a dire il vero il fiume era zeppo di Canne.
Poi, non appena venne l'autunno, le Rondini volarono via tutte. Quando se ne furono andate il Rondinotto si sentì solo, e incominciò a stancarsi della sua bella.
"Non sa conversare" si disse, "e temo sia una civetta poiché seguita a frascheggiare col vento." E infatti, ogni volta che il vento spirava, la Canna si piegava con inchini graziosissimi.
"Riconosco che sei casalinga," prosegui il Rondinotto, "ma a me piace viaggiare e di conseguenza anche a mia moglie dovrebbero piacere i viaggi".
"Vuoi venir via con me?" le chiese infine, ma la Canna scosse la testa, era troppo affezionata alla sua casa. "Tu mi hai preso in giro!" gridò il Rondinotto. "Me ne vado alle Piramidi. Addio!" e volò via.
Volò tutto il giorno, e a sera giunse alla città.
"Dove alloggerò?" si disse. "Spero mi abbiano preparato dei festeggiamenti."
Ma poi notò la statua sull'alta colonna. "Andrò ad abitare lì," esclamò. "La posizione è bellissima, e ci si deve respirare dell'ottima aria fresca."

Così si posò proprio tra i piedi del Principe Felice.
"Ho una camera da letto tutta d'oro" mormorò sottovoce tra sé e sé, guardandosi attorno e preparandosi per la notte, ma giusto mentre stava mettendo la testa sotto l'ala gli cadde addosso una grossa goccia d'acqua.
"Che cosa strana!" esclamò. "In cielo non c'è neanche la più piccola nuvola, le stelle sono chiare e luminose, eppure piove. Il clima del Nord Europa è semplicemente spaventoso. Alla Canna la pioggia piaceva, ma questo era dovuto unicamente al suo egoismo".
In quella cadde un'altra goccia.
"A che serve una statua se non riesce a riparare dalla pioggia?" brontolò ; "bisogna che mi cerchi un buon comignolo," e fece per volarsene via. Ma proprio mentre stava per aprire le ali una terza goccia cadde, ed egli allora alzò gli occhi e vide... ah, che cosa vide ? Gli occhi del Principe Felice erano gonfi di lagrime, e lagrime rigavano le sue guance dorate. Il suo viso era cosi bello sotto la luce della luna che il piccolo Rondinotto si senti invadere da una profonda pietà.
"Chi sei?" chiese.
"Sono il Principe Felice".
"Perché piangi, allora? Mi hai inzuppato tutto."
"Quando ero vivo e avevo un cuore umano," rispose la statua, "non sapevo che cosa fossero le lagrime, perché abitavo nel Palazzo di Sans-Souci, dove al dolore non è permesso di entrare. Durante il giorno giocavo coi miei compagni nel giardino, e la sera guidavo le danze nella Grande Sala. Intorno al giardino correva un muro altissimo, ma mai io mi curai di sapere che cosa si stendesse al di là di esso, ogni cosa intorno a me era cosi bella! I miei cortigiani mi chiamavano il Principe Felice, e se il piacere è felicità, io ero veramente felice. Cosi vissi, e cosi morii. E ora che sono morto mi hanno messo qui tanto in alto che adesso vedo tutta la bruttezza e tutta la miseria della mia città, e sebbene il mio cuore sia di piombo altro non mi resta che piangere".
"Come mai? Non é d'oro massiccio?" si chiese mentalmente il Rondinotto, perché era troppo educato per rivolgere ad alta voce domande di carattere personale.
"Lontano lontano," proseguì la statua con la sua dolce voce musicale, "lontano in una stradina c'è una povera casa. Una finestra di questa casa è aperta e attraverso vi vedo una donna seduta a un tavolo. Ha il viso magro e sciupato, e le sue mani sono rosse e ruvide e tutte bucherellate dall'ago, poichè fa la cucitrice. Sta ricamando passiflore su un abito di raso che la più bella tra le damigelle d'onore della Regina indosserà al prossimo ballo di Corte. In letto, in un angolo della stanza, il suo bambino giace ammalato. Ha la febbre e vorrebbe mangiare delle arance, ma sua madre non ha nulla da dargli, fuorchè acqua di fiume, perciò il bambino piange. Rondinotto, piccolo Rondinotto, non gli porteresti il rubino che luccica sull'elsa della mia spada ? I miei piedi sono attaccati a questo piedistallo e io non mi posso muovere".
"Sono aspettato in Egitto" rispose il Rondinotto. "I miei amici in questo momento volano sul Nilo, e discorrono con i grandi fiori di loto. Tra poco andranno a dormire nella tomba del gran Re, dove il Re stesso riposa nel suo sarcofago dipinto, avvolto in gialli lini e imbalsamato con aromi. Ha il collo adorno di una collana di giada verde pallida, e le sue mani assomigliano a foglie avvizzite".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me per una notte soltanto, ed essere il mio messaggero? Il bambino ha tanta sete, e la madre è cosi triste!"
"Non credo che mi piacciano i bambini" replicò il Rondinotto. "L'estate scorsa, quando stavo sul fiume, c'erano due ragazzi maleducati, i due figliuoli del mugnaio, che mi tiravano sempre sassi. Naturalmente non mi hanno mai preso, si capisce: noi rondini voliamo troppo bene per lasciarci colpire, e del resto io vengo da una famiglia famosa per la sua agilità ; comunque però era una grave mancanza di rispetto".
Ma il Principe Felice aveva un viso cosi doloroso che il Rondinotto ne provò pena. "Qui fa molto freddo" disse, "ma per farti piacere resterò ancora una notte e sarò tuo messaggero".
"Grazie, piccolo Rondinotto" disse il Principe.

Cosi il Rondinotto colse il grande rubino che ornava la spada del Principe e volò sopra i tetti della città, tenendo stretto il gioiello nel becco appuntito. Passò accanto alla torre della cattedrale, su cui erano scolpiti i grandi angeli di marmo. Passò accanto al palazzo e udì un suono di danze.
Una fanciulla bellissima si affacciò al balcone col suo innamorato. "Guarda che stelle meravigliose" egli le disse, "e come è meraviglioso il potere dell'amore ! "
"Spero che il mio vestito sarà pronto per quando ci sarà il ballo di Stato" rispose la fanciulla. "Ho ordinato che sia ricamato a passiflore, ma le cucitrici sono talmente pigre ! "
Passò sopra il fiume, e vide le lanterne appese agli alberi delle navi. Passò sul Ghetto, e vide i vecchi Ebrei che contrattavano tra di loro, e pesavano il danaro su bilance di rame. E finalmente giunse alla povera casa e vi guardò dentro. Il bambino si agitava febbrilmente sul letto, mentre la madre si era addormentata: era tanto stanca! Saltellò nella stanza e posò il grosso rubino sul tavolo, accanto al ditale della donna. Poi volò piano attorno al letto, e accarezza con le sue ali la fronte del piccolo, facendogli vento dolcemente.
"Come mi sento fresco!" disse il bambino. "Forse incomincio a star meglio" e si addormentò di un sonno tranquillo.
Allora il Rondinotto rivolò dal Principe Felice e gli raccontò quello che aveva fatto. "E' strano" osservò, "ma benché faccia un freddo cane adesso ho caldo."
"Perché hai compiuta una buona azione" gli disse il Principe.
Il piccolo Rondinotto incominciò a pensare, ma subito si addormentò: il pensare gli metteva sempre addosso un gran sonno.
Quando il giorno spuntò, volò giù al fiume e prese un bagno.
"Che fenomeno straordinario!" esclamò il Professore di Ornitologia che passava in quel momento sul ponte. "Una Rondine d'inverno!" E mandò al giornale locale una lunga lettera in proposito. Tutti la citarono: era costellata di un sacco di vocaboli che nessuno capiva.
"Questa sera parto per l'Egitto" disse il Rondinotto, e questa previsione lo mise di ottimo umore. Visitò tutti i monumenti pubblici, e rimase a lungo seduto in cima al campanile della chiesa. Dovunque andava i Passeri cinguettavano e bispigliavano tra di loro: "Che forestiero distinto!" Cosicchè il Rondinotto si diverti un mondo.
Quando la luna sorse rivolò dal Principe Felice. "Hai qualche commissione da darmi per l'Egitto?" disse. Sono di partenza.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me ancora una notte?"
"In Egitto mi aspettano" rispose il Rondinotto. "Domani i miei amici voleranno fino alla Seconda Cateratta. Laggiù, tra i giunchi, se ne sta accovacciato l'ippopotamo, e su un grande trono di granito siede il Dio Memnone. Tutta la notte egli contempla le stelle, e quando risplende la stella del mattino proferisce un unico grido di gioia, e poi tace. A mezzogiorno i leoni fulvi scendono a bere all'orlo dell'acqua. Hanno occhi simili a verdi berilli, e il loro ruggito è più forte del ruggito della cateratta".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "lontano lontano, dall'altra parte della città, vedo un giovane in una soffitta, appoggiato a una scrivania ingombra di carte, e in un boccale accanto a lui c'è un mazzolino di viole appassite. Ha i capelli bruni e crespi, le sue labbra sono rosse come una melagrana, e i suoi occhi sono grandi e sognanti. Sta sforzandosi di terminare una commedia per il Direttore del Teatro, ma ha troppo freddo per poter seguitare a scrivere. Non c'è fuoco nel suo camino, e la fame lo ha fatto svenire".
"Va bene, aspetterò presso di te un'altra notte" disse il Rondinotto, che aveva proprio un cuore d'oro. "Devo portargli un altro rubino?"
"Ahimè, non ho più rubini, ormai" disse il Principe, "tutto ciò che mi è rimasto sono i miei occhi, ma sono fatti di zaffiri rari, e furono portati dall'India più di mille anni fa. Strappane uno e portaglielo. Lo venderà al gioielliere, e si comprerà legna da ardere, e finirà la sua commedia".
"Caro Principe" disse il Rondinotto, "io non posso fare questo"
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, piangendo, "ubbidiscimi, ti prego".
Cosi il Rondinotto strappò l'occhio del Principe e volò fino alla soffitta dello studente. Era facile entrarvi, perché nel tetto c'era un buco. Il Rondinotto vi sfrecciò attraverso, e penetrò nella stanza. Il giovane aveva il capo affondato tra le mani, perciò non avvertì il frullio d'ali dell'uccello, e quando alzò gli occhi vide il bellissimo zaffiro adagiato in mezzo alle viole appassite.
"Incominciano ad apprezzarmi!" gridò; "certo me lo manda qualche grande ammiratore. Adesso potrò finalmente terminare la mia commedia!" Ed era tutto felice.
Il giorno dopo il Rondinotto volò giù al porto. Si posò sull'albero di una grossa nave e stette a osservare i marinai che a forza di funi calavano su dalla stiva pesanti casse. "Issa-oh ! " si gridavan l'un l'altro a mano a mano che le casse salivano.
"Io vado in Egitto!" garrì il Rondinotto, ma nessuno gli badò, e quando spuntò la luna volò ancora una volta dal Principe Felice.
"Sono venuto a salutarti" gli disse.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi rimanere con me ancora per questa notte?"

"E' inverno ormai" rispose il Rondinotto, "e fra poco arriverà la fredda neve. In Egitto il sole è caldo sulle verdi palme, e i coccodrilli riposano nel fango e si guardano attorno con occhi pigri. I miei compagni stanno costruendo un nido nel Tempio di Baalbec, e le colombe rosee e bianche li guardano, e tubano tra loro. Caro Principe, debbo lasciarti, ma non ti dimenticherò mai, e la prossima primavera ti porterò due gemme bellissime, al posto di quelle che tu hai regalate. Il rubino sarà più rosso di una rosa rossa, e lo zaffiro sarà azzurro come il vasto mare".
"Nella piazza qua sotto" disse il Principe Felice, "ci sta una piccola fiammiferaia. I fiammiferi le sono caduti nella cunetta del marciapiedi, e si sono tutti bagnati. Suo padre la picchierà se non porterà a casa un po' di danaro, e perciò la piccola piange. Non ha nè calze nè scarpe, e la sua testolina è nuda. Strappa l'altro mio occhio e portaglielo, cosi suo padre non la batterà".
"Resterò con te ancora per questa notte" disse il Rondinotto, "ma non posso strapparti l'altro occhio. Rimarresti completamente cieco".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "fa come ti dico".
Cosi il Rondinotto strappò l'altro occhio del Principe e sfrecciò giù nella piazza. Passò roteando accanto alla piccola fiammiferaia e le fece scivolare il gioiello nel palmo della mano.
"Che bel pezzettino di vetro!" esclamò la bambina, e corse a casa ridendo.
Poi il Rondinotto ritornò dal Principe. "Adesso sei cieco" disse, "perciò io resterò con te per sempre".
"No, piccolo Rondinotto" mormorò il povero Principe, "tu devi andare in Egitto".
"Resterò con te per sempre" ripetè il Rondinotto, e dormi ai piedi del Principe. Poi tutto il giorno seguente se ne stette appollaiato sulla spalla del Principe, e gli raccontò quello che aveva veduto in paesi lontani. Gli parlò dei rossi ibis, che sostano in lunghe file sulle rive del Nilo e col becco acchiappano pesciolini dorati ; gli parlò della Sfinge, che è vecchia quanto il mondo, e vive nel deserto, e conosce ogni cosa ; gli parlò dei mercanti che viaggiano piano al fianco dei loro cammelli e recano tra le mani rosari d'ambra ; gli parlò del Re della Montagna della Luna, che è nero come l'ebano, e adora un enorme cristallo ; gli parlò del grande serpente verde che dorme in un palmizio ed è nutrito da venti sacerdoti con focacce di miele ; gli parlò infine dei pigmei che veleggiano su un grande lago sopra larghe foglie piatte e sono sempre in guerra con le farfalle.
"Caro Rondinotto" disse il Principe, "tu mi parli di cose meravigliose, ma più meraviglioso di qualsiasi cosa è il dolore degli uomini e delle donne. Non vi è Mistero più grande della Miseria. Vola sulla mia città, piccolo Rondinotto, e raccontami quello che vedi".

Cosi il Rondinotto volò sopra la grande città, e vide i ricchi gozzovigliare nelle loro splendide dimore, mentre i poveri sedevano fuori, ai cancelli. Volò in bui vicoli, e vide i visi bianchi dei bambini affamati che fissavano con occhi assenti le strade oscure.
Sotto l'arcata di un ponte due ragazzini si stringevano l'uno all'altro cercando di riscaldarsi a vicenda.
"Che fame, abbiamo ! " dicevano.
"Non potete dormire laggiù" gridò la guardia, e i due bambini si allontanarono sotto la pioggia.
Allora il Rondinotto tornò indietro e raccontò al Principe quello che aveva veduto.
"Sono tutto ricoperto d'oro fino" disse il Principe, "tu devi togliermelo di dosso, foglia per foglia, e darlo ai miei poveri : i vivi credono che l'oro possa renderli felici".
Il Rondinotto piluccò via foglia dopo foglia del fine oro, finchè il Principe Felice divenne tutto opaco e grigio. Foglia per foglia del fine oro egli portò ai poveri, e le facce dei bambini si fecero più rosate, ed essi risero e giocarono giochi infantili nelle strade.
"Abbiamo pane, adesso ! " gridavano.
Poi venne la neve, e dopo la neve venne il gelo. Le strade sembravano pavimentate d'argento, tanto erano lucide e scintillanti ; lunghi ghiaccioli, simili a lame di cristallo, pendevano dalle gronde delle case ; tutti giravano impellicciati e i ragazzini indossavano cappucci scarlatti e pattinavano sul ghiaccio.
Il povero piccolo Rondinotto aveva sempre più freddo, ma non voleva lasciare il Principe ; gli voleva troppo bene. Raccoglieva briciole fuor dell'uscio del fornaio quando questi aveva la schiena voltata, e cercava di scaldarsi battendo le ali.
Ma alla fine capì che era prossimo a morire. Ebbe giusto la forza di volare un'ultima volta sulla spalla del Principe.
"Addio, caro Principe" mormorò, "mi permetti che ti baci la mano? "
"Sono contento che tu vada in Egitto, finalmente, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "sei rimasto qui anche troppo tempo, ma tu devi baciarmi sulle labbra, perché io ti amo".
"Non è in Egitto che io vado" disse il Rondinotto, "vado alla Casa della Morte. La Morte non è forse la sorella del Sonno ? " E baciò il Principe Felice sulle labbra, e cadde morto ai suoi piedi.
In quel momento si udì nell'interno della statua uno strano crac, come se qualcosa si fosse rotto. Il fatto è che il cuore di piombo si era spaccato netto in due.

Certo faceva un freddo cane. Il mattino seguente per tempo il Sindaco andò a passeggiare nella piazza sottostante in compagnia degli Assessori. Nel passare dinnanzi alla colonna alzò gli occhi verso la statua :
"Dio mio ! Com'è conciato il Principe Felice ! " esclamò.
"Davvero ! Com'è conciato ! " esclamarono gli Assessori che ripetevano sempre quel che diceva il Sindaco, e andarono tutti su per vedere meglio.
"Gli è caduto il rubino dall'elsa della spada, gli occhi non ci sono più, e la doratura è scomparsa" disse il Sindaco, "insomma, sembra poco meno che un accattone!"
"Poco meno che un accattone" ripeterono in coro gli Assessori civici.
"E qui, ai piedi della statua, c'è persino un uccello morto ! " proseguì il Sindaco. "Dobbiamo assolutamente emanare un'ordinanza che agli uccelli non sia permesso di morire qui ! "
E lo Scrivano Pubblico prese appunti per la stesura del decreto.
Cosi tirarono giù la statua del Principe Felice.
"Dal momento che non è più bello non è nemmeno più utile" osservò il Professore di Belle Arti dell'Università.
Quindi fusero la statua in una fornace e il Sindaco indisse un'adunanza della Corporazione per decidere quel che si doveva fare del metallo.
"Dobbiamo costruire un'altra statua" disse, "e sarà la mia statua".
"La mia" ripeté ciascuno degli Assessori, e litigarono. L'ultima volta che ebbi loro notizie stavano ancora litigando.
"Che cosa curiosa ! " disse il sorvegliante degli operai della fonderia. "Questo rotto cuore di piombo non vuole fondersi nella fornace. Bisogna che lo gettiamo via".
E lo gettarono infatti su un mucchio di spazzatura dove avevano buttato anche il Rondinotto morto.


"Portami le due cose più preziose che trovi nella città" disse Dio a uno dei Suoi Angeli ; e l'Angelo Gli portò il cuore di piombo e l'uccello morto.
"Hai scelto bene" gli disse Dio, "poichè nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà in eterno, e nella mia città d'oro il Principe Felice mi loderà".

sabato 29 ottobre 2011

Orme sulla sabbia....



Questa notte ho fatto un sogno,
ho sognato che camminavo sulla sabbia
accompagnato dal Signore,
e sullo schermo della notte erano proiettati
tutti i giorni della mia vita.

Ho guardato indietro e ho visto che
per ogni giorno della mia vita,
apparivano orme sulla sabbia:
una mia e una del Signore.

Così sono andato avanti, finché
tutti i miei giorni si esaurirono.
Allora mi fermai guardando indietro,
notando che in certi posti
c'era solo un'orma...
Questi posti coincidevano con i giorni
più difficili della mia vita;
i giorni di maggior angustia,
maggiore paura e maggior dolore...

Ho domandato allora:
"Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me
in tutti i giorni della mia vita,
ed io ho accettato di vivere con te,
ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti
peggiori della mia vita?"

Ed il Signore rispose:
"Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato
con te durante tutto il tuo cammino
e che non ti avrei lasciato solo
neppure un istante,
e non ti ho lasciato...
i giorni in cui tu hai visto solo un'orma
sulla sabbia,
sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio".




domenica 9 ottobre 2011

Limiti....


In realtà non esistono persone più sagge di altre, esistono persone che sono coscienti dei limiti delle loro follie e non li oltrepassano... poi ci sono coloro che non sono coscienti di quei limiti, semplicemente non li vedono, non li comprendono, e dopo averli oltrepassati, ne pagano le conseguenze... -Ivan Gallozzi-


mercoledì 28 settembre 2011

Sii abbastanza saggio da non aspettarti mai la gratitudine da nessuno, sopratutto da coloro che avranno ricevuto di più, ricorda sempre di dimenticare in fretta il bene che farai, altrettanto velocemente dovrai lasciare scivolare via da te i torti subiti, la vita è troppo breve per sprecarla nel serbare rancori....
Lascia sempre una parte del tuo cuore in ogni persona che amerai, ma conserva anche tu una parte del loro nel tuo, e non vivere mai di lamento per un tempo maggiore di un sorgere e calar di sole, conserva sempre la tua dignità e la tua fierezza anche se dovrai librarti in volo con un'ala ferita, e il tuo "si" sia sempre si, così come il tuo "no"... e se un giorno ti succederà di perderti, non arrestare il tuo cammino, a volte la vita fa giri impensabili, immensi, solo per riportarti allo stesso bivio da cui sei partito....

lunedì 12 settembre 2011

Un giorno il tempo si fermò.....

Un giorno il tempo si fermò, non so dire per quanto rimase immobile, sospeso, forse un istante, o forse degli anni.... si fermò! Semplicemente, così come si arrestano i passi di un cammino, come un treno che arriva in stazione, o una nave che si ancora al porto.....Tutto sospeso tra la vita di prima e il dopo, una catarsi rinnovatrice.... Poi il tempo tornò a scorrere regolare, fuori dalla clandestinità, a ritmi costanti e misurabili, ma di quel lontano periodo mi rimane intatta, tutta la realatività delle nostre incociliabili esistenze.... -Ivan Gallozzi-


Doves - Satellites

Nitin Sawhney - Say Hello

mercoledì 7 settembre 2011

Testamento.

Quando un giorno "speriamo ancora lontano" me ne andrò, poichè nessuno ha stipulato ancora un contratto d'eternità con il Padre Eterno, al mio "funeral blues" laico dovrà essere diffusa questa canzone dei Guns' Roses, "November Rain" che considero la colonna sonora della mia vita......

martedì 6 settembre 2011

"Oceano mare"


Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi.
E qualcuno - un padre, un amore, qualcuno - capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume
- immaginarlo, inventarlo - e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio.
Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita.
E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare..... tutto sarebbe, finalmente umano.  -Alessandro Baricco-

lunedì 5 settembre 2011

C’era una vigna su questa collina....



C’era una vigna su questa collina, Io ed Igor ci correvano felici, come solo i bambini di otto anni possono esserlo, di quella felicità irreale ed eterea fatta di fantasia e scoperta….. oggi c’è una recinzione invalicabile, buona per qualche speculazione edilizia, la vigna è stata estirpata, e solo la punta più ad ovest, da dove si poteva rimirare il panorama della vallata fino al fiume è rimasta intatta, troneggiante , come allora, quando spizzicando acini d’uva sottratti di nascosto al contadino, ci riposavamo osservando il vasto panorama, come guerrieri, a riposo dopo la battaglia…. –Ivan Gallozzi-




La Mente Silente.



La mente può essere considerata, come suggeriscono le più importanti tradizioni orientali, un fiume in piena  con migliaia di affluenti identificabili come la capillare canalizzazione dei nostri pensieri. Continuamente, tramite queste arterie eteree, viene riversato riempimento nel suddetto vaso-mente, rendendolo perennemente traboccante e mai sgombro ed atto a ricevere il sussurro del profondo sé.
A volte capita però, che si viva un momento, un solo istante, un attimo fuggente,  in cui la mente smette di riversare il suo effluvio di pensieri diventando profondamente silente. In queste rarissime occasioni, lo sproloquio mentale tace, il vaso resta vuoto per un brevissimo istante ed è possibile ricevere tutto ciò che vi è di più sfuggente ed intangibile al di là del pensiero. In questa precisa dimensione, ossimoricamente al di fuori del tempo, l’universo ci parla, in un linguaggio fatto di intento totale, coniugato ad un presente infinito. Tale momento rende possibile tutto, perché tutto è attuale e tutto è attuabile. Viene spontaneo chiedersi come sia possibile svuotare la mente-vaso, sempre così affollata di pensieri e congetture. La soluzione a questo dilemma è insita in ognuno di noi fin dalla nascita; rappresenta uno speciale stato dell’essere. Per comprendere appieno questa condizione si può ricorrere ad un esempio: lo stato d’animo della mente silente si avvicina moltissimo alla sensazione che si ha quando nella vita non vi è  più nulla da perdere!  In quel preciso istante non si teme più nulla, non si pensa più a nulla, non si ragiona più su niente, perché la mente è vuota; accetta semplicemente il qui ed ora, l’hic et nunc, si identifica e dissolve nell’adesso in  un presente infinito. E’ lapalissiano come sia difficile ricondurre questo non-stato nella vita di tutti i giorni.
Difficile però non significa impossibile; il solo tentativo di esercitare la facoltà dello svuotamento mentale porta di colpo a vedere, non solo a guardare, ad ascoltare non soltanto a sentire, divenendo, pian piano, un tutt’uno con l’infinito agente.     -Daniele Segreti-

domenica 4 settembre 2011

CONDANNA DEL RICORDO…..

…la condanna del ricordo, del fatto che gli eventi e le persone ritornino e appaiano indefinitamente e non cessino del tutto né passino del tutto né ci abbandonino mai del tutto, e a partire da un certo momento dimorino o abitino nella nostra testa, da svegli o in sogno, si stabiliscano lì in mancanza di luoghi più confortevoli, dibattendosi contro la propria dissoluzione e volendo incarnarsi nell’unica cosa che rimane loro per conservare il vigore e la frequentazione, la ripetizione o il riverbero infinito di ciò che una volta fecero o di ciò che ebbe luogo un giorno: infinito, ma ogni volta più stanco e tenue. Io mi ero trasformato in quel filo. -Javier Marìas-

Bloc Party - Kreuzberg

Tanta è la strada che ci lasciamo dietro le spalle, tanti i passi dimenticati, ma alcuni no! Ad alcuni d’essi sappiamo dare la loro giusta collocazione, sappiamo quale sia stata la genesi che li ha prodotti, quale il percorso che hanno formato, e quale l’inevitabile fine a cui sono giunti: Questa canzone appartiene a quei passi “collocabili” e “non dimenticabili” che hanno trovato la loro genesi nell’ottobre del 2007 e il loro termine nel luglio del 2010. –Corso Serale Sirio Ragionieri Programmatori presso la Scuola Statale I.T.C.G. Paolo Toscanelli-


venerdì 2 settembre 2011

Sigur Rós - Ára Bátur

....poiché la disperazione era un eccesso che non gli apparteneva, si chinò su quanto era rimasto della sua vita, e riiniziò a prendersene cura, con l’incrollabile tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale..... -Alessandro Baricco-


Sigur Rós - Fljúgðu

Perché è così che ti frega la vita.
Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine,
o un odore, o un suono che poi non te li togli più.
E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo tardi.
E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri
da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore. Alla deriva.

Alessandro Baricco









Sigur Rós

 

 Membri

Attuali

Componenti precedenti

  

Nascita del gruppo

Il 4 dicembre 1994 Jónsi Birgisson, Ágúst Ævar Gunnarsson e Georg Hólm diedero vita ai Sigur Rós: il nome lo presero in prestito dalla sorellina di Jónsi nata proprio in quel giorno, Sigurrós (Rosa della Vittoria). Cominciarono poi subito a registrare il loro primo album; per il loro primo singolo (Fljúgðu) impiegarono appena sei ore. Grazie a questo brano il gruppo trovò subito un'estimatrice, la ben più famosa conterranea Björk, che fece pubblicare il brano nella compilation che celebrava il cinquantesimo anniversario dell'indipendenza islandese.
Dopo questo inizio folgorante si presentarono i primi problemi: innanzitutto economici (lo studio venne pagato riverniciando le pareti), gli studi di Georg in Inghilterra, gli impegni di Jónsi con un altro gruppo, i Bee Spiders. Inoltre, alla fine delle sessioni di registrazione le canzoni erano completamente differenti dalle versioni originali. Allora il gruppo prese in considerazione l'ipotesi di ricominciare tutto da capo, ma rinunciarono perché l'operazione sarebbe durata troppo a lungo.

Von

Il primo album Von (speranza) nacque nel settembre 1997, dopo un lavoro di tre anni, grazie ad un accordo con l'etichetta Smekkleysa (Bad Taste). Il suono dell'album si dimostra distante dagli ultimi pezzi prodotti dalla band, un po' troppo grezzo e non sempre completamente a fuoco, frutto anche dell'ancora scarsa esperienza dei componenti del gruppo, la cui età media all'uscita del disco era di neanche 21 anni. Non mancavano comunque pezzi notevoli quali l'iniziale "Sigur Rós", sorta di viaggio ambient tra i vulcani innevati dell'Islanda, "Myrkur" il primo singolo che balzò subito in testa all'hit parade nazionale, "Von" e "Hafssól", brano che la band ancora esegue abitualmente durante i concerti. Il disco, uscito inizialmente soltanto in Islanda, venne commercializzato nel resto del mondo solo dopo il successo avuto con il terzo album.
Fu subito un successo per la critica ma le vendite furono scarse. Poco dopo l'uscita di questo album si unì al gruppo il tastierista Kjartan Sveinsson e cominciarono i lavori per il secondo album: i primi risultati vennero subito commentati come «un buon inizio» dai loro stessi amici, e per questo decisero di intitolare così l'album: Ágætis byrjun. Il lavoro però rallentò molto anche a causa dell'uscita dal gruppo del batterista Ágúst Ævar Gunnarsson che decise di intraprendere la carriera di grafico sacrificando la musica. Con il nuovo batterista Orri Páll Dýrason la band raggiunse la formazione definitiva che resiste ancora oggi. Nel frattempo pubblicarono in Islanda una raccolta di remix che divenne popolare: Von brigði.

Ágætis byrjun

Dopo una grande attesa uscì nel giugno del 1999 Ágætis byrjun, il capolavoro che portò alla ribalta i Sigur Rós. Nel disco viene codificato l'originalissimo sound del gruppo, fatto di lunghe suite al limite del mistico, paesaggi sonori che ricordano l'atmosfera della loro terra natia, melodie orchestrali. Nella musica dei Sigur Rós convivono meravigliosamente la voce femminea, quasi bianca, del cantante, e le distorsioni noise delle chitarre.
L'acclamazione della critica e del pubblico fu unanime ed al grande successo in patria seguì quello internazionale. I premi come "Miglior album" e "Miglior gruppo dell'anno" in Islanda furono i primi di una lunga serie. Nel Regno Unito vennero pubblicati due singoli: "Svefn-g-englar" (sonnambuli, ma englar significa angeli) e "Ný Batterí" (nuove batterie). A questi singoli seguì l'album nel 2000. Le major statunitensi fecero a gara per accaparrarsi i diritti, ma la band preferì la libertà al tornaconto economico e firmò un contratto con la Pias Recordings. Il successo di Ágætis byrjun aprì le porte ai Sigur Rós della grande scena musicale: fecero da spalla ai Godspeed You Black Emperor! e ai Radiohead, si susseguirono inoltre festival e concerti in tutto il mondo dal gennaio 2000 all'ottobre 2001.
Con i primi soldi guadagnati costruirono uno studio di registrazione a Mosfellsbær, nei dintorni di Reykjavík: un ambiente tranquillo dove poter lavorare serenamente alla nuova opera.
La canzone "Hjartað hamast" (bamm bamm bamm) è colonna sonora nel film Immortal ad Vitam di Enki Bilal, film francese di genere fantastico, ispirato ai fumetti dello stesso Bilal.

( )

( )[1] fu il terzo lavoro del gruppo, uscì nel 2002; con questo album, la band mostrò un cambio di rotta evidente. L'album comprende otto tracce e 30 secondi di silenzio dividono esattamente a metà l'opera. Ogni metà comprende quindi quattro canzoni, «le prime solari e ottimistiche, le seconde più oscure e malinconiche» come hanno affermato gli stessi componenti del gruppo. Il suono è minimale e "Untitled 1" e "Untitled 3" sono addirittura prive di batteria e percussioni. L'artwork è completamente spoglio, senza testi né crediti.
La particolarità di ( ) è proprio nei testi, che in realtà non esistono, dato l'esclusivo utilizzo del vonlenska o hopelandic, una sorta di lingua artificiale inventata dal gruppo stesso. Nel tour seguente a ( ) le Amiina, quartetto d'archi formato da compositrici di musica sperimentale, oltre a curare l'apertura dei concerti suonano anche con il gruppo come accompagnamento.
Nel 2003 nasce il video "Untitled 1 (Vaka)", scritto e diretto dalla videomaker Floria Sigismondi.
Inizialmente, la band aveva intenzione di registrare ( ) in una base dismessa della NATO situata nella parte nord dell'Islanda, ma dopo un sopralluogo rinunciò per ragioni di praticità. Poco dopo fu trovato un complesso con una piscina abbandonata ad Àlafoss. Il gruppo comprò tale complesso e lo trasformò in uno studio di registrazione, dove incise ( ). Per collocarvi il grande mixer si dovette aprire una parte del tetto e trasportarla con una gru.
Nel 2004 viene pubblicato un EP del gruppo dal titolo Ba Ba Ti Ki Di Du per la Geffen, storica casa discografica dei Nirvana.

Takk...

Dopo una lunga attesa a settembre del 2005 è uscito il quarto album della band, Takk... ("Grazie..."). Il disco come sonorità risulta più vicino ad Ágætis byrjun che a ( ), e tra le atmosfere fredde, rarefatte e malinconiche del gruppo si intravede un po' di luce primaverile, grazie a una sonorità più alta della chitarra e una sonorità più rock. Il disco è quindi più accessibile dei precedenti, ma il suono dell'album è in ogni caso ben lontano da quello di lavori che la critica è solita catalogare sotto la voce pop-rock. Si tratta, non a caso, del primo disco inciso dalla band per una major, la EMI. In Takk... si ritorna al cantato in islandese e per la maggior parte degli undici brani presenti sul disco la band torna dunque a scrivere veri e propri testi.
Hoppípolla, il secondo singolo ufficiale di Takk... dopo Glósoli, è stato pubblicato a novembre in contemporanea con un nuovo remake in studio di Hafsól, una canzone precedentemente rilasciata nell'album di debutto della band del 1997, Von.
Un EP è stato pubblicato a luglio 2006, Sæglópur. In origine avrebbe dovuto essere pubblicato a maggio, ma a causa dell'improvvisa richiesta di "Hoppípolla" è stato posposto fino al mese estivo. I Sigur Rós hanno registrato tre nuove canzoni in quell'EP ("Refur", "Ó Fridur", e "Kafari"). A luglio 2006 la band ha terminato un tour mondiale con diverse tappe europee, negli Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda, Hong Kong e Giappone. Gli impegni successivi del gruppo sono stati diversi concerti all'aperto gratuiti tenuti in Islanda in luglio e agosto, che sono stati inclusi nel documentario Heima.

Heima e Hvarf-Heim

Nell'agosto del 2007, è stata pubblicata un'edizione limitata DVD+CD della colonna sonora del documentario del 2002 Hlemmur. L'uscita di Hvarf-Heim è programmata per il 5 novembre; si tratta di un album doppio che contiene diverse registrazioni in studio di canzoni inedite ("Salka", "Hljómalind" (in passato conosciuta come "Rokklagið"), "Í gær" e "Von"), in Hvarf, e versioni acustiche delle canzoni: "Samskeyti", "Starálfur", "Vaka", "Ágætis Byrjun", "Heysátan" e "Von", su Heim. Nel medesimo giorno sarà pubblicato il DVD Heima, sul tour dell'estate precedente in Islanda. Appena prima dell'album, è stato pubblicato il singolo Hljómalind. È stata inoltre programmata per gennaio 2008 la pubblicazione del DVD+CD del pezzo orchestrale del 2002 Odin's Raven Magic.
Per promuovere il film "Heima" il gruppo ha programmato una serie di anteprime in diversi posti del mondo, e ogni data include una performance acustica e una serie di domande e risposte.

Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust

Nel novembre del 2007, New Musical Express ha affermato che la band era in fase di registrazione del loro quinto album effettivo (Von brigði e Hvarf-Heim sono delle raccolte e riedizioni di precedenti pezzi), insieme al produttore Flood dei Nine Inch Nails. Il batterista della band, Orri Páll Dýrason disse che l'album era previsto per la fine del 2008, mentre la band aveva già registrato qualche pezzo e ultimato la scrittura delle canzoni del nuovo album.[2]
Alla fine di febbraio 2008 nel sito ufficiale della band è stato riportato che il gruppo, insieme a Flood, ha registrato le basi per il futuro album[3]. Delle 11 canzoni registrate, una è stata suonata per un ristretto pubblico alla festa di chiusura di un locale di Reykjavík, il Sirkus. L'uscita dell'album è programmata per il 23 giugno.[4] È stato affermato che questo ultimo album è diverso, sotto un punto di vista stilistico, da tutti i precedenti, comprendendo meno archi e più chitarre.[5]
Secondo il sito ufficiale, la band avrebbe registrato l'album il 24 aprile 2008 presso gli Abbey Road Studios a Londra, con un coro di ragazzi e un'orchestra di 67 strumenti. I testi delle canzoni saranno "più comprensibili" rispetto agli album precedenti (che avevano molte canzoni scritte in Vonlenska), almeno questo secondo Orri. Questa affermazione ha alimentato speculazioni sul fatto che l'album potrebbe avere testi in inglese, in seguito confermate, in quanto una canzone, intitolata "All Alright" sarà in questa lingua[6].
Il 27 maggio è stata annunciata sul sito ufficiale la data di uscita dell'album, fissata per il 23 giugno 2008, ed è stato annunciato anche il titolo di questo nuovo prodotto: Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust (in italiano: "Con un ronzio nelle nostre orecchie suoniamo senza fine")[7]-
Il 28 maggio dello stesso anno la band ha annunciato di aver messo a disposizione di tutti, sul sito ufficiale, "Gobbledigook", una canzone del nuovo album, insieme al video.[8][9]

Curiosità


  • Il cantante Jónsi è gay e cieco da un occhio. Da piccolo questi due elementi furono causa di emarginazione per lui. Tutto questo, unito alla prematura scomparsa di sua madre ha notevolmente influenzato la musicalità e i testi delle canzoni. La discriminazione sessuale è anche alla base del video di Viðrar Vel Til Loftárása. Della sua cecità si è fatto una ragione, affermando di non riuscire ad immaginare la visione stereoscopica del mondo.
  • Per suonare la chitarra Jónsi utilizza un archetto di violoncello, tale abitudine è nata quando un giorno, Àgúst (l'ex-batterista) ne ricevette uno per il suo compleanno e Georg provò a usarlo per il suo basso, ma il suono era pessimo, e allora Jónsi lo provò sulla sua chitarra, il che diede risultati migliori. Da quel momento Jónsi usa l'archetto in ogni concerto.
  • I testi sono principalmente in islandese ma Jónsi fa uso del cosiddetto "hopelandic" (in islandese vonlenska, dal nome dell'album), un linguaggio inventato che il cantante è solito utilizzare poiché considera la voce come uno strumento musicale, esente da messaggi. Solo Ágætis Byrjun ed alcuni brani di Takk... sono cantati interamente in islandese.
  • Parte della traccia audio di Starálfur è palindroma: rimane esattamente invariata se ascoltata al contrario. L'introduzione dell'album è una parte della traccia omonima, Àgætis Byrjun, ma al contrario. Avalon è una parte di Starálfur, ma rallentata.
  • La prima canzone registrata per l'album Àgætis Byrjun è stata la canzone omonima, che all'inizio non aveva un titolo. Dopo aver ultimato la stesura della canzone, la band la eseguì per gli amici presenti, i quali l'apprezzarono molto e dichiararono che era "un buon inizio", e così l'album e la canzone presero questo nome.
  • Viðrar vel til Loftárása (da Àgætis Byrjun) significa "bel tempo per bombardamenti aerei". Una volta, nella TV islandese, durante la guerra del Kosovo, un meteorologo disse ironicamente: "í dag viðrar vel til loftárása" (oggi c'è un bel tempo per bombardamenti).'I Sigur Rós diedero il nome alla canzone da questo avvenimento.
  • Il cembalo in Ný Batterí è un cembalo che trovarono per strada piegato, probabilmente schiacciato da un'automobile. Il suo suono piacque ai membri del gruppo e scrissero la canzone proprio partendo da questo strumento.
  • Tre dei video del gruppo erano all'inizio pensati per altre canzoni: il video di Svefn-g-englar era originariamente per Viðrar vel til Loftárása, il video di Viðrar vel til Loftárása era originalmente previsto per Starálfur e il video di Vaka (untitled #1) era inizialmente pensato per Njónsavélin (untitled #4).
  • Tutti i video del gruppo hanno come protagonisti bambini, o adulti che si comportano come tali. Quello di Viðrar vel til loftárása affronta il tema dell'omosessualità di due giovanissimi, con dei probabili cenni autobiografici nonostante l'ambientazione anni 'Sessanta, un'epoca molto chiusa per gli Islandesi; in quello di Svefn-g-englar ci sono dei ragazzi affetti di sindrome di Down vestiti con una tunica bianca inseriti in un contesto quasi bucolico; C'è un bambino anche nel video di untitled #1. Nel video di Hoppípolla due gruppi di anziani vestiti da pirati fanno scherzi e si affrontano in battaglie con spade di legno; quello di Glósóli sembra uscito da una storia di Peter Pan; in Sæglópur infine c'è sempre un bambino, questa volta alle prese con le profondità marine.
  • I produttori del David Letterman Show offrirono al gruppo 3 minuti per suonare nel 2001, ma i Sigur Rós rifiutarono poiché il tempo non era sufficiente per una canzone, allora gliene offrirono 4, un tempo ancora troppo esiguo per lo stile della band, la cui durata media di una canzone è attorno ai 7-8 minuti.
  • I Sigur Rós confezionarono e incollarono in proprio le scatole delle prime stampe di Àgætis Byrjun, con il risultato che molti dei CD furono inutilizzabili per la colla colata su di essi.
  • Tutti gli schizzi sulla copertina di Àgætis Byrjun furono fatti con una penna a sfera Bic.
  • La prima canzone che Jónsi ha imparato a suonare alla chitarra è stata Wrathchild degli Iron Maiden, all'età di 13 anni. Gli Iron Maiden rimangono tuttora come una delle band preferite di Jónsi. Il gruppo preferito di Orri sono stati i Black Sabbath. Tutti i membri della band hanno gusti diversi in fatto di musica ma condividono l'ammirazione per Leonard Cohen.
  • Nel 2000, i Sigur Rós doppiarono un videogame matematico per i bambini islandesi chiamato Reiknibíllinn (l'automobile calcolatrice).
  • Nel giugno del 2000, i Sigur Rós fecero una sorpresa ai fan con un'esibizione non annunciata in un piccolo negozio di musica a Reykjavík sotto lo pseudonimo di W.H.M. In seguito fu rivelato che l'acronimo sta per We hate music, ossia "odiamo la musica".
  • Il 4 luglio 2006 la band tenne un concerto a Ferrara. L'esibizione fu anticipata di mezz'ora per evitare che fosse disturbata dai caroselli dei tifosi nel caso che la Nazionale italiana di calcio avesse battuto la Germania nella semifinale del Mondiale tedesco, come poi accadde. Inoltre il 4 luglio è anche il giorno del compleanno del batterista Orri, al quale fu intonato un Tanti auguri a te (in islandese), da parte della band.
  • Il tastierista Kjartan Sveinsson dal 2001 è sposato con María Huld Markan, violinista delle Amiina.
  • Il programma di Italia 1 Mistero utilizza spesso alcuni loro brani come sottofondo durante gli interventi in studio.
  • La canzone numero 7 "Dauðalagið" di ( ) è stata utilizzata per il trailer di lancio del videogioco Dead Space.
  • La canzone "Festival" è stata utilizzata per il finale del film "127 Ore" del regista "Danny Boyle"
  • La canzone "Hoppipolla" è stata utilizzata come sfondo musicale per la scena finale del film "Penelope" del 2006 (regia di Mark Palansky).
Il 3 agosto 2011 sul sito della band è stata annunciata una nuova collaborazione con il regista Cameron Crowe per la colonna sonora di un nuovo film che uscirà il 23 dicembre nelle sale statunitensi e che ha come titolo we bought a zoo.eighteen seconds before sunris.